Un amore nuovo
Gv 13,31-33a.34-35 – V domenica di Pasqua C – 18 maggio 2025
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
Evangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni (13,31-33a.34-35)
Quando Giuda fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Per comprendere il significato del comandamento nuovo, l’unica legge della vita cristiana, occorre ricordare il contesto nel quale Gesù lo ha dato. Giuda preso il boccone è uscito dal cenacolo, “ed era notte”, rimarca l’evangelista Giovanni. In quel contesto di tenebra Gesù pronuncia delle parole che appaiono avulse e indecifrabili: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”. È notte perché non regna la legge dell’amore ma la legge del tradimento dell’amico con un bacio. È sempre notte quando vince la legge dell’odio, la legge dell’ingiustizia che condanna l’innocente e mette a morte il giusto. È “l’impero delle tenebre” (Lc 22,53) nel quale domina la legge della prepotenza che guida l’istituzione religiosa e il potere politico ad allearsi per eliminare colui che rappresenta una minaccia.
Eppure, quella è l’ora della gloria, e per questo in quel contesto Gesù consegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore. Il comandamento nuovo di Gesù Cristo non sta ai margini ma al cuore della realtà allo scopo di affermare che una legge altra, diversa è possibile. Il comandamento nuovo non è un’irreale illusione ma il principio costitutivo di una nuova realtà, di un’altra logica nei rapporti, un modo altro di tessere legame.
Gesù se ne va e costituisce i suoi discepoli in comunità attraverso il comandamento nuovo, consegnando la regola di vita che plasma la loro identità. Il comandamento dell’amore è il fondamento della comunità messianica, come la Legge di Mosè è il fondamento del popolo d’Israele.
“Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Ci si attenderebbe “come io ho amato voi, così voi amate me”, in una naturale e legittima reciprocità, una piena corrispondenza di affetti. No, Gesù non chiede nulla per sé, non domanda ai suoi discepoli di amarlo come lui li ha amati e neppure domanda di amare Dio. L’amore di Gesù è gratuito, non domanda compenso, ama e basta perché l’amore basta all’amore, è un sentimento che è già completo in sé. La gloria di chi ama è di aver amato.
Gesù comanda invece ai suoi discepoli di amarsi gli uni gli altri come lui li ha amati. L’amore con il quale Gesù li ha amati diventa la norma del loro amore reciproco. Il comandamento è tanto nuovo quanto nuovo è l’amore di Gesù. In una celebre frase, Ireneo di Lione afferma che Gesù “ha portato ogni novità portando sé stesso” (Contro le eresie IV,34,1). Il comandamento che consegna ai suoi discepoli è nuovo perché nasce dalla novità stessa che Gesù Cristo rappresenta. Non è l’amare la novità, ma l’amare come Cristo ha amato: questo è il mandatum novum. Gesù ha lasciato un modo di amare che è il suo e lo caratterizza nel profondo. Un modo di amare che rivela l’amore di Dio.
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Ecco l’ultima consegna, la più esigente. L’amore reciproco è per i discepoli di Cristo l’unico necessario, ed è l’unica realtà cristiana che deve essere visibile, che deve essere risaputa, nota a tutti e dunque risaputa a tutti gli uomini. Non è una dottrina il segno distintivo dei cristiani ma la qualità dei rapporti tra di loro. Non è da un’idea di Dio che siamo riconosciti come discepoli di Cristo ma da un modo di vivere tra gli uomini, la sola possibile alternativa alle tenebre.