Condividere la miseria
Lc 9,11b-17 – Corpus Domini (22 giugno 2025)
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
Evangelo di Gesù Cristo secondo Luca (9,11b-17)
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Da un lato ci sono persone bisognose di cura, che si trovano in un luogo deserto e che non hanno alloggio e cibo; un’umanità misera, priva di risorse. Dall’altro la responsabilità della comunità di Gesù nei confronti di questa umanità. L’evangelo ci pone al cuore dell’eucaristia e pertanto al cuore della fede, della vita cristiana, e lì siamo immediatamente rinviati alla nostra responsabilità verso gli esseri umani che vivono nel bisogno e nella mancanza.
“Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”, questa la risposta dei discepoli all’invito di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare”. I discepoli, costatano di aver poco, quasi nulla ma, allo stesso tempo, sono disponibili a usare dei beni della loro stessa cassa per sfamare le folle. Sembra qualcosa di buono e nobile, ma Gesù vi coglie un sottile pericolo. Quello che i discepoli propongono è un comunicare ai bisogni della folla e alla condizione di miseria al modo deli mezzi, restando sul piedistallo e padroni delle relazioni. Gesù invece ha interpellato loro stessi personalmente, la loro esistenza, il loro corpo, le loro forze, le loro capacità, ma i discepoli propongono di “andare a comprare viveri”, ricorrendo alle loro pur modeste possibilità economiche, al denaro. Pensano a quello che hanno e non a quello che sono. Vogliono soddisfare il bisogno dell’altro senza ricorrere alla loro pochezza, senza mettere in comune il poco che sono e il poche che hanno: cinque pani e due pesci. I discepoli passano sopra la propria debolezza, cioè la propria mortalità, come qualcosa di inutile per incontrare chi è nel bisogno. In questo modo non si istaura una relazione ma semplicemente si tampona una mancanza.
Qui giungiamo al vertice del nostro racconto, che non è un racconto di moltiplicazione di pani ma di condivisione a partire dalla frazione, dallo spezzare. Ogni essere umano non ha altro pane che la propria vita, una vita impastata di incontri e relazioni, di sogni e delusioni, di gioia e di pianti. Per questo, la scelta è tra un pane da accumulare o un pane da spezzare. Un vita all’insegna della difesa e dal possesso, oppure una vita data, donata, persa? Vive della logica eucaristica chi decide di rompere le difese dell’io, supera la paura di perdere l’integrità e accetta di essere ferito e contaminato dalla storia dell’altro, percorre la strada imprevedibile e ignota delle relazioni. Questo è il luogo da cui esercitare la responsabilità cristiana, ma questo è il luogo dell’eucaristia, memoria del corpo spezzato e del sangue versato di Gesù, della sua intera esistenza. Ma da questo luogo, dal luogo dell’eucaristia siamo chiamati ad esercitare un discernimento.
Spezzare, condividere e non accumulare la propria vita non è un gesto solo cristiano, ma è un gesto profondamente umano, un gesto che accomuna e affratella gli esseri umani al di là di ogni barriera religiosa, politica, culturale ed etnica. Celebrare in verità l’eucaristia comunicando all’intenzione profonda di Gesù, che ha vissuto così, significa per i discepoli non solo ascoltare e vedere le persone nel bisogno per “essere-con” loro, ma ascoltare e vedere anche gli uomini e le donne che spesso in maniera anonima e invisibile spezzano il loro corpo per gli altri.
Così, l’eucaristia è il luogo generatore dell’identità cristiana, di un’identità che lasciandosi plasmare dalla vita di Gesù Cristo è capace di una comunione fondata non sui mezzi e le disponibilità economiche, ma sulla condivisione di ciò che si è nella debolezza. Gesù, unendoci attraverso l’eucaristia alla sua carne fa di noi un solo corpo, membri gli uni degli altri contro ogni logica di possesso e divisione.