Pentecoste
Gv 14,15-16.23b-26 – Pentecoste – 8 giugno 2025
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
Evangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni (14,15-16.23b-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
La mattina di Pentecoste un vento impetuoso si abbatté su Gerusalemme. Il fuoco divino scese sugli apostoli. Bruciò la loro paura e sciolse le loro lingue. E loro uscirono nelle
strade e nelle piazze. Hanno annunciato la risurrezione di Cristo con una sicurezza inaudita, con un entusiasmo contagioso, senza lasciarsi fermare dalle barriere culturali o linguistiche delle folle provenienti da tutto il Vicino Oriente. Hanno proclamato le meraviglie di Dio facendosi capire da tutti, con grande stupore generale.
Ciò che si è compiuto a Pentecoste è ciò che il Cristo risorto aveva promesso ai suoi discepoli: che avrebbe mandato loro lo Spirito Santo affinché fossero suoi testimoni fino agli estremi confini della terra. E l’elenco dei popoli citati da Luca negli Atti è l’espressione di questa universalità dello Spirito Santo, ben oltre gli orizzonti conosciuti dagli apostoli, oltre i confini dell’impero romano: Parti, Medi, Elamiti, Cretesi e Arabi. Tutto l’Oriente e l’Occidente, difficilmente immaginabile per l’epoca.
Ma perché il racconto della Pentecoste insiste tanto sulle lingue straniere che gli apostoli parlavano per annunciare la risurrezione? Il più grande ostacolo alla comunicazione
non erano le lingue straniere, il grande ostacolo era piuttosto l’annuncio della risurrezione dai morti, che era o totalmente sconosciuto o rimandato alla fine del mondo. Dopo la trasfigurazione di Gesù gli apostoli si chiedevano tra loro cosa potesse significare “risorgere dai morti”. Non ne avevano idea. Marta, la sorella di Lazzaro, pensava che suo fratello sarebbe risorto solo nell’ultimo giorno. Il grande miracolo della Pentecoste è quello di far capire a tutti i cuori e a tutte le menti, nelle loro lingue, ma soprattutto nelle loro culture e nelle loro mentalità, che la risurrezione è un atto di Dio che si è compiuto in Gesù.
La grandezza della Pentecoste è che il vento dello Spirito sceso sugli apostoli li rende capaci di annunciare la resurrezione di Gesù. Il vento è ciò che fa cantare gli alberi quando passa tra i rami. Il vento è ciò che fa danzare il grano quando il raccolto è maturo. Il vento è ciò che fa muovere la barca quando la vela è gonfia. Se non possiamo descrivere il vento, possiamo osservarne gli effetti: il vento ci fa cantare, ci fa danzare, ci fa andare avanti e annunciare che Cristo è risorto.
Lo Spirito santo è colui che spinge i discepoli di Cristo fuori dal loro torpore per condividere l’evangelo della resurrezione di Gesù. Lo Spirito è colui che conduce i cristiani a vivere la Chiesa, a condividere il dono di Dio con i fratelli e le sorelle in umanità. Lo Spirito è colui che li spinge ad essere testimoni, ovunque si trovino, del regno di Dio. Lo Spirito è come il vento: fa cantare le nostre storie, danzare le nostre vite e gonfiare le vele della nostra nave. Anche se non sappiamo dove il vento dello Spirito venga e dove vada, possiamo sempre aprire le nostre mani, allargare i nostri cuori, issare le nostre vele per lasciare che lo Spirito ispiri il nostro cammino nella sequela di Cristo risorto.