Ascoltano la mia voce
Gv 10,27-30 – IV domenica di Pasqua C – 11 maggio 2025
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
Evangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni (10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
“Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Quello che Gesù esprime non è un desiderio, non dichiara la speranza di essere ascoltato dalle sue pecore, ma confessa una certezza, costata una realtà: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Ciò che fa di Gesù il pastore buono è che rivolge la parola alle sue pecore e ciò che le fa essere sue pecore è l’ascolto della sua voce. Questa è la condizione per essere da lui definite “mie pecore”. La voce del pastore è una e le pecore sono molte, a significare che ciò che fa delle molte pecore un gregge è l’ascoltare la voce del loro pastore e non altre voci, la sua parola e non altre parole. Il pastore è Parola, le pecore sono ascolto, così che la relazione pastore e pecore è quella particolarissima sinergia che nasce tra chi parla e chi ascolta, quel legame che si stabilisce tra chi nutre con la parola e chi si sazia dell’ascolto, tra chi ha fame di senso e chi ha parole che danno vita, parole che nutrono il cuore e la mente.
“Le mie pecore ascoltano”, a indicare un modo di essere, una attitudine permanente e stabile, non occasionale. L’ascolto è per loro una scelta, è frutto della volontà e della libertà di fare dell’ascolto la linfa vitale della loro relazione con il pastore. L’ascolto è fondamentale per ogni relazione ed è la principale capacità, quell’attitudine interiore decisiva che permette di istaurare legami destinati a rimanere solidi e vivi. Quelle che il pastore chiama “le mie pecore”, ascoltano la sua voce perché hanno imparato a zittire le altre voci, i rumori inutili, i pensieri gravosi che impediscono di accogliere la voce del pastore.
L’ascolto produce frutti, il primo è la conoscenza: “Io le conosco”. Ci si attenderebbe che l’ascolto della voce del pastore fosse la conoscenza di lui da parte delle pecore, invece è il pastore che dichiara di conoscerle. Ascoltando la sua voce le pecore si lascino conoscere dal loro pastore, a dire che il primo frutto di un ascolto profondo e sincero dell’altro è lasciare che lui ci conosca. Ascoltare significa svelarsi, denudarsi fino a consegnarsi a colui che ascoltiamo. Ascoltare la Parola è per noi discepoli lasciarci conoscere dalla Parola ascoltata, per poi scoprire che siamo già conosciuti da colui che bramiamo conoscere, e ammettere con il salmista “Signore, tu mi scruti e mi conosci …”.
“Esse mi seguono”, il secondo frutto dell’ascolto è la sequela. Solo ascoltando la sua voce possono seguire lui e non altri. Noi siamo discepoli della parola che ascoltiamo, una parola che entra in noi e ci attira a sé, vincendo in noi il demone della dispersione mentale o la tendenza a chiuderci in noi stessi. Per questo, la parola del pastore non è solo nutrimento ma è anche orientamento e guida. Le pecore riconoscono la voce, si affidano alla parola e seguono il pastore che li precede, li conduce “alle fonti delle acque della vita” (Ap 7,17), li “guida sul giusto sentiero per amore del suo Nome” (Sal 23). Nel deserto della prova e nella valle della morte scopriamo che il Pastore è fedele, non ci ha abbandonati, e rivolgendoci a lui riconosciamo: “Tu sei con me” (Sal 23).
“Io do loro la vita eterna”: l’esito dell’ascolto, della conoscenza e della sequela è ricevere dal pastore la vita quella eterna. La vita eterna non si riferisce alla sua durata ma alla sua qualità. È vita viva, piena, abbondante. Gesù non ci assicura solo che la morte vincerà la vita, ma anche che permetterà alla vita di sbocciare in una forma nuova, completa e definitiva.
“Nessuno le strapperà dalla mia mano”, questo deve essere per noi una certezza: nessun essere e nessuna realtà può strapparci dalla mano del Pastore.