Beati voi poveri
Lc 6,17.20-26 – VI domenica dell’ordinario – (16 febbraio 2025)
Fr. Goffredo Boselli, monaco della Madia
Dichiarando i poveri beati Gesù ci chiama a riconoscere che l’accumulo di beni di ogni genere non rende felici a lungo termine. È semplicemente una soddisfazione che può dare al massimo l’illusione della felicità, dal momento che l’accumulo di beni materiali e spirituali satura, non lascia spazio al Vangelo e agli altri. In altre parole, la ricchezza che Gesù deplora e denuncia e per la quale mette in guardia i ricchi è quella che porta a una forma di autosufficienza, quella che conduce a pensare di non dover nulla a nessuno, quella che chiude agli altri. Infatti, la ricchezza e il successo possono condurre all’illusione di non dover nulla a nessuno, finendo per diventare insensibili a ciò che può accadere al di fuori di questo mondo chiuso all’interno del quale ci si dichiara beati. Invece, essere poveri sulle orme e alla maniera di Gesù significa puntare sulla fiducia, riconoscere che in noi non c’è nulla che non abbiamo ricevuto, tenere lo spirito aperto e disponibile.
Sì, le beatitudini evangeliche ribaltano la logica che divide il mondo in vincitori e vinti. Dichiarando che i poveri, gli affamati e i sofferenti sono beati, Gesù sfida i modi abituali di vedere le cose che portano a valutare e classificare le persone su scale di grandezza, proprietà, potere. Manda in frantumi le visioni del mondo che legittimano un ordine ingiusto e che troppo spesso ci portano a guardare con invidia chi è più dotato, con il rischio di generare una gelosia malsana e di dare origine alla violenza. Gesù, al contrario, indica la strada regale per uscire dalla trappola illusoria dell’autosufficienza, quella che porta all’incontro con i poveri e i sofferenti. Perché sanno ricordarci questa realtà molto semplice: la vita si riceve, si dona e scaturisce dai legami attraverso i quali ci chiamiamo l’un l’altro all’esistenza, così l’atto creativo di Dio, che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza.
Per questo le beatitudini proclamate da Gesù non sono un elenco di situazioni di debolezza o di fallimento che verrebbero magicamente capovolte, né la promessa di un ribaltamento in un tempo futuro che sarebbe come una rivincita futura per un presente deludente. Le beatitudini evangeliche ci parlano di una battaglia della mente e del cuore, una battaglia che deve essere combattuta da ciascuno. Per chi cerca di vivere il Vangelo questa battaglia consiste nello scegliere liberamente di “rivestirsi di Cristo” (cf. Gal 3,27) e di “avere i suoi stessi sentimenti” (cf. Fil 2,5), di lasciarsi abitare e trasformare da queste sue parole che sono spirito e vita.
Certo, la prospettiva aperta dalle beatitudini proclamate da Gesù può legittimamente preoccuparci, persino spaventarci. Ma ciò significherebbe dimenticare che, in questo cammino, Gesù ci ha già preceduto. Non solo ci ha preceduto, ma è con noi e sulla strada della beatitudine e della felicità che ci promette e ci offre, siamo chiamati a trovare in lui e con lui la forza necessaria per crederci e andare avanti. L’esperienza della malattia, dell’avanzare dell’età o della sofferenza di fronte a difficoltà che sembrano insormontabili, ci mettono di fronte alla nostra povertà. E questa può essere un’esperienza dolorosa. Il riconoscimento della propria povertà può così diventare un luogo di gioia profonda grazie al Vangelo di Cristo. Sì, “beato l’uomo che pone la sua fede nel Signore, e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le sue radici” (Ger 17,7-8)