Il pane della libertà
Gv 6,41-51 – XIX domenica dell’ordinario – (11 agosto 2024)
Il Vangelo del “pane di vita” che ascoltiamo in queste domeniche è la risposta di Gesù alla radicale incomprensione del segno della moltiplicazione dei pani. Non è una generica folla ma una folla sfamata e sazia quella che lo cerca per farlo re. Gesù risponde con parole particolarmente dure nel contenuto come nel linguaggio, non solo e non tanto per ciò che vorrebbero fare di lui, un re, ma soprattutto per ciò che fanno di loro stessi: dei sudditi. Questa folla di gente che vuole fare re l’uomo che l’ha sfamata rivela il bisogno profondo che c’è nell’umanità di sottomettersi, di avere qualcuno di fronte al quale piegare le ginocchia. Solo un cuore da schiavo cerca un re da adorare.
Gesù sa bene che ogni uomo è un affamato sempre pronto a farsi schiavo di chi lo sfama. Pronto sempre a barattare la sua libertà per un pezzo di pane pur di non soffrire l’angoscia esistenziale della fame. Sa che in verità l’uomo non vuole essere libero e cerca sempre qualcuno molto potente che lo liberi dal peso della libertà, dalla responsabilità di decidere giorno per giorno. Sì, l’uomo cerca un liberatore che lo liberi dalla libertà. Non dimentichiamo mai che nel deserto, nel difficile cammino di liberazione, i figli d’Israele arrivano perfino a rimpiangere il pane della loro schiavitù che è pane di morte, mormorando contro Mosè: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà!” (Es 16,3). L’uomo preferisce essere uno schiavo sazio piuttosto che un figlio affamato. Per questo qualcuno ha potuto scrivere: “Libertà e pane sono tra loro inconciliabili” (Dostoevskij).
Anche Gesù è in risposta a una mormorazione che dichiara: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. A dire che il pane che Gesù dà non è qualcosa che ha e che dona. Ma il pane che lui dà è ciò che lui è. Non ha altro pane da dare se non la sua carne, cioè la povertà della sua condizione umana, la sua fragilità di creatura. La sua carne è l’anima della sua vita, la verità di ciò che lui è. Perché carne è ciò che lui, il Figlio di Dio, ha scelto liberamente di essere per l’umanità e con l’umanità. Il Verbo non è stato fatto carne, ma “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14). Prima di essere la condizione terrena di Gesù, la carne è la vocazione umana del Figlio di Dio. Solo colui che ha scelto nella libertà di farsi carne per amore del mondo, può dare sé stesso come pane per la vita del mondo.
In Gesù libertà e pane si sono conciliati, perché non è rimasto schiavo della sua condizione divina ma, come uomo, ha scelto la misera condizione di povero e di bisognoso. Ha scelto di vivere l’angoscia esistenziale della fame e della sete che è la condizione di ogni essere umano. Per questo, la sua carne affamata è il pane che ci sazia. La sua carne mortale è per noi cibo di vita eterna.
Nutrendoci del pane eucaristico noi non fuggiamo ma riconosciamo la nostra condizione di affamati e assetati. Uomini e donne che hanno fame di vita, ma che non sono disposti a vendere la loro libertà per un pezzo di pane. Dicendo l’“Amen” della fede al pane eucaristico che riceviamo nelle mani, noi confessiamo che il pane che ci fa vivere è la vita che Gesù Cristo ha vissuto e che solo lui po’ darci. L’eucaristia è il pane che non ci chiede in cambio la libertà ma ce la dona liberandoci da noi stessi. Perché l’eucaristia è sempre un pane spezzato e condiviso che ci libera dalla nostra avidità, dall’egoismo, dalla brama del possesso, dall’amore di noi stessi e per questo fin da ora ci libera dalla morte.
L’eucaristia è pane di libertà che nutre non saziando ma accrescendo la nostra fame di vita.
Goffredo Boselli