La libertà di Gesù
Mc 3,20-35 – X domenica dell’ordinario – (9 giugno 2024)
Gesù libera perché è un uomo libero. Porta la liberazione perché anzitutto lui ha compiuto un cammino di liberazione che ha avuto inizio dal cerchio più ristretto, la famiglia e il suo ambiente sociale originario. Grande è la libertà di Gesù nei confronti del suo nucleo familiare, della sua parentela. L’evangelista Marco attesta come i parenti di Gesù reagissero negativamente alla sua scelta di essere un predicatore itinerante che attirava a sé molta folla con discorsi ritenuti farneticanti, e in qualche modo ostacolavano la sua attività pubblica: “Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: È fuori di sé” (Mc 3,20-21). Ma Gesù non si lascia imprigionare dai vincoli familiari e prosegue la sua attività di predicazione anche contro i suoi.
La sua ragione di vita, ciò che sente di dover dire e fare è per il profeta Gesù più forte dei legami di sangue, è più forte delle attese che i suoi hanno su di lui, è più forte dei legami affettivi naturali e dai legami sociali. È a causa della parola interiore, della parola di Dio, che Gesù ha la forza di trasgredire gli imperativi, le forze, le dinamiche familiari e le consuetudini sociali. È questa parola che libera Gesù da questo genere di pressioni. L’obbedienza alla parola interiore dilata gli affetti di Gesù e diventa l’unico criterio di relazione.
Se i suoi famigliari lo accusano di essere fuori di sé, gli scribi lo accusano di avere in sé Beelzebùl, ossia di essere indemoniato. Non è ciò che la folla crede, il Figlio di Dio, ma è figlio del diavolo, è l’incarnazione del male. Un’accusa particolarmente grave dal momento che proviene dalle autorità religiose, i detentori dell’ortodossia. Gesù smaschera con due immagini l’assurdità dell’accusa: “Anche Satana, se si ribella contro sé stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito”. Gesù non è complice del male ma suo nemico, perché libera le persone da ogni forma di male, sia esso fisico o morale. Per questo gli scribi incorrono nella bestemmia più grande quella imperdonabile, la bestemmia “contro lo Spirito santo” che è il rifiutarsi in modo ostinato e cosciente di riconoscere l’azione di Dio anche quando essa è evidente. Nella diatriba con gli scribi Gesù da un annuncio straordinario, spesso ignorato: “Ai figli degli uomini tutto sarà perdonato”.
La madre di Gesù e i suoi fratelli lo mandano a chiamare, ma lui non solo non esce dalla casa, ma li disconosce come parenti di fronte a tutti e guardando quelli che erano seduti attorno a lui dice: “Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. Non è più il sangue, non è più l’appartenenza a un nucleo familiare che determinano le relazioni di Gesù, è invece la parola di Dio che genera con gli altri un legame così profondo da poter dire: ecco mia madre e i miei fratelli. Coloro che insieme fanno obbedienza alla parola di Dio sono gli uni per gli altri madre, fratello e sorella. Gesù ha esperimentato in prima persona una seconda nascita, la nascita data dall’obbedienza alla parola di Dio. Chi è schiavo delle relazioni di carne e di sangue non può nascere alle relazioni generate dalla Parola di Dio.
Goffredo Boselli